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Julian Nagelsmann: l’enfant prodige

Julian Nagelsmann è il più giovane tecnico della Bundesliga,uno dei più precoci talenti della panchina a livello europeo. La sua prima esperienza in Bundesliga, inizia alla guida dall’Hoffenheim nel febbraio del 2016. Subito si sono intraviste le idee e competenze del giovane allenatore, in poco tempo è riuscito a portare la squadra dalla zona retrocessione a quella Champions. Questo ha permesso a Nagelsmann di essere nominato miglior allenatore dell’anno 2016 dalla Federazione tedesca: sotto la guida del giovane tecnico tedesco l’Hoffenheim, ha raggiunto la storica qualificazione alla Champions League per 3 stagioni consecutive, il “mini-Mourinho“ ha sbalordito tutti, tanto da ricevere la chiamata del Lipsia, squadra in totale ascesa nel campionato tedesco.

Il giovane tecnico, la passione e la competenza

Il racconto di Julian Nagelsmann inizia con la carriera da giocatore interrotta a soli 21 anni da un infortunio al ginocchio, da qui la storia prende una via diversa, quanto esaltante con un percorso da allenatore, che lo vede dall’11 febbraio del 2016, da quando cioè ha 28 anni, 6 mesi e 19 giorni, alla guida della prima squadra dell’Hoffenheim. Per la cronaca Nagelsmann non è il più giovane tecnico della storia della Bundesliga in quanto il primato appartiene a Bernd Stober, che a 24 anni ha guidato per una sola partita il Saarbrucken il 23 ottobre 1976 nella trasferta di Colonia, perdendo 1-5. Ma è un semplice dettaglio all’interno di una narrazione il cui protagonista ha letteralmente bruciato le tappe.

Julian Nagelsmann
Julian Nagelsmann applaude i suoi giocatori

Nel 2014 Nagelsmann diviene il più giovane vincitore del campionato di categoria, sfiorando il bis l’anno successivo, quando perderà la finale con lo Schalke 04. Nel mezzo, si sarebbe proposto al Bayern Monaco per guidare l’Under 23, salvo poi decidere di restare nella piccola frazione di Sinsheim. La svolta giunge il 27 ottobre del 2015, data in cui l’Hoffenheim comunica a Nagelsmann che sarebbe diventato l’allenatore della prima squadra a partire dalla stagione 2016/17. La società è costretta a rivedere le tempistiche: Nagelsmann prende in mano un Hoffenheim con un piede in Zweite Liga, conducendo la squadra a una salvezza quasi insperata, grazie a 23 punti in 14 partite. Nella stagione seguente fa ancora meglio: dopo 16 giornate i biancazzurri si trovano in quinta posizione, ad appena un punto dalla zona Champions League.

I principi di gioco del giovane tedesco

Analizzando i principi di gioco, ci accorgiamo da subito che la filosofia a lui più similare alla sua è quella spagnola, ha riconosciuto come lo stile dell’Hoffenheim sia stato influenzato dal Lipsia allenato da Ralf Rangnick la passata stagione.

«Il Lipsia ha subito un interessante sviluppo. All’inizio provocavano principalmente situazioni in cui perdevano la palla per poi riconquistarla in zone pericolose. Ma la maggior parte degli avversari occupava una posizione così bassa che non si presentava l’occasione per farlo. Hanno dovuto rivedere qualcosa. Metto molta enfasi sul nostro comportamento quando non abbiamo la palla, ma non provocherò mai la perdita del possesso. Oggi servono sia soluzioni con la palla, almeno quanto quelle senza».

Se la perdita del pallone non è mai forzata, spesso diventa la scorciatoia più rapida per risalire il campo. In che modo? Superando la linea di pressione con un lancio diretto alle punte ed accorciando in zona palla.

Julian Nagelsmann
Julian Nagelsmann osserva i propri giocatori

Un calcio dove fase difensiva ed offensiva si uniscono in un’unica transizione: la fase di non possesso è finalizzata al recupero palla in zone alte del campo, mentre il possesso palla può diventare uno strumento per difendersi. Parliamo in effetti di una squadra che, pur non essendo in grado di avanzare con regolarità attraverso il palleggio a causa di un difetto diffuso di qualità ed elementi creativi. Se prendiamo in esame la costruzione bassa alla base della fase offensiva, è scandita da una paziente circolazione perimetrale tra i cinque difensori che talvolta si appoggiano al mediano per consolidare il possesso.

Largo ai giovani anche in panchina

La scelta di affidare ad un 28enne la panchina di una squadra a -8 punti dalla zona salvezza abbia rappresentato un rischio significativo. E non è certo una questione di talento, quanto semmai di quale grado di leadership un gruppo sia disposto riconoscere ad una guida coetanea. «Ricordo il primo incontro con la squadra e il discorso che feci, dopo essermelo preparato tutta la notte precedente. Ero molto teso, lo spogliatoio a un certo punto mi sembrò enorme. Dovevo stare attento non solo a quello che avrei detto, ma anche ai modi, ai movimenti del corpo. È fondamentale se sei un allenatore. Ma andò tutto bene. In quel momento ho capito che saremmo stati una squadra».  

Naturalmente il suo rapporto con la rosa non può essere autarchico: «Ci sono due fattori chiave: uno è la tua intelligenza sociale, l’altro la conoscenza calcistica. Se questi restano in equilibrio, i giocatori capiscono che puoi insegnare loro qualcosa a livello tecnico. E l’età viene dimenticata piuttosto rapidamente. Coinvolgo sempre gli atleti nel decision-making: sebbene l’ultima parola ce l’abbia io, non voglio che mi seguano come dei soldati. Devono avere le proprie opinioni e avanzare le loro idee».

Un rapporto se vogliamo “informale” e carico di passione, che non sfocia nell’amicizia: «Ho un rapporto aperto con i giocatori, e la mia età lo facilita. Ma non potrò mai essere un loro amico. Anche nelle giovanili, finito l’allenamento, ognuno per la sua strada.

Non resta che goderci le idee di questo giovane prodigio della panchina, se le premesse sono queste, possiamo solo aspettarci il meglio.

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